La cosiddetta “direttiva Bolkestein” è una legge quadro pensata per assicurare la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri. Ma lascia ancora troppe questioni irrisolte, è ampiamente osteggiata e meriterebbe quanto meno una revisione
Lo studio “Applicabilità della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al commercio di beni”, elaborato da Adele Cunsolo per il gruppo Identità e Democrazia del Parlamento europeo, si propone di analizzare la cosiddetta “direttiva Bolkestein” nel dettaglio e la sua reale applicazione in Europa e in Italia per tracciare un’ipotesi di revisione.
La direttiva 2006/123/CE è il frutto di un tortuoso iter legislativo che prende avvio, nel gennaio del 2004, da una proposta, dell’allora commissario al Mercato interno, Frits Bolkestein, di intervento in materia di servizi. Tale iter si è concluso con la pubblicazione della direttiva in Gazzetta nel dicembre del 2006.
Il motivo per cui si è trattato di un iter tortuoso risiede nelle forti opposizioni che l’annuncio di questa direttiva ha sollevato, sia in sede istituzionale che in “piazza”. Molte le preoccupazioni: da una parte, la paura che la liberalizzazione dei servizi, nell’ottica della creazione del mercato unico europeo, andasse a svantaggio delle piccole e medie imprese; dall’altra, il timore che venisse smantellato il modello sociale europeo: si pensi al famoso spauracchio dell’“idraulico polacco”, idraulico che dalla Polonia va a prestare i propri servizi in Francia, chiedendo la metà del prezzo che avrebbero chiesto gli idraulici francesi, proprio grazie alla cosiddetta “direttiva Bolkestein” che sanciva il principio del Paese d’origine nella prestazione dei servizi – in realtà, da subito si era prevista l’eccezione a tale principio in materia di distacco dei lavoratori, la cui disciplina risiede nella direttiva 96/71/CE1.
Fu proprio il principio del Paese d’origine, infatti, che avrebbe dovuto essere la vera grande innovazione della direttiva servizi, a destare le maggiori perplessità. Il principio del Paese d’origine, presente nel Trattato di Roma e più volte ribadito nella giurisprudenza della Corte di giustizia, fa riferimento a un principio in virtù del quale ogni prestatore di servizi di uno Stato membro sarebbe sottoposto alla disciplina dello Stato di stabilimento (Paese d’origine) e non a quella del Paese di destinazione. Questo principio avrebbe permesso a ogni operatore di poter trasformare la propria attività in un’attività transnazionale senza sopportare l’aggravio che la conoscenza di un ordinamento straniero comporta, dovendo solamente rispondere ai requisiti richiesti dal proprio Paese d’origine. Questo chiaramente avrebbe permesso una razionalizzazione burocratica e amministrativa, promuovendo la competitività tra imprese. Per contro, si sottolinea come questo principio avrebbe altresì causato una corsa al ribasso, sacrificando, per l’appunto, il modello sociale europeo, ma riducendo anche la qualità dei servizi interni al mercato.
Sono proprio le numerose criticità che l’ampio utilizzo del principio del Paese d’origine, all’interno della direttiva servizi, avrebbe portato il Parlamento europeo, nel voto in prima lettura del 14 febbraio del 2006, ad espungere dal testo normativo tale principio. A ogni modo, la direttiva Bolkestein si presenta come il primo quadro normativo unitario in materia di servizi: una vera e propria legge quadro volta ad assicurare la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri. Pertanto, in un certo senso, si limita a fissare quelli che sono i principi e i limiti generali che ogni legislazione statale dovrà rispettare. Questa scelta di limitare la portata della direttiva deriva anche dalla volontà di meglio apprezzare quelle che sono le specificità di ciascun settore economico (infatti, si applica a tutti i servizi, salvo limitate eccezioni), ma anche quelle di ogni ordinamento nazionale.
L’esigenza di una tale disciplina trova fondamento negli obiettivi prospettati nella sessione straordinaria del Consiglio europeo tenutosi a Lisbona nel marzo del 2000.
In tale sede venne ribadita la necessità di un intervento di completamento del mercato interno volto a migliorare le prestazioni e a tutelare gli interessi delle imprese e dei consumatori, in modo tale da sfruttare tutti i vantaggi che possono derivare dalla liberalizzazione del mercato; nonché, accrescere l’occupazione all’interno dei servizi.
In sostanza, l’obiettivo finale prefissato nel Consiglio europeo di Lisbona era quello di rendere l’Unione europea più competitiva e dinamica all’interno del mercato globale, migliorarne l’occupazione e la coesione sociale. Pertanto, il Consiglio europeo chiese alla Commissione, al Consiglio e agli Stati membri di elaborare una strategia per la soppressione degli ostacoli ai servizi.
Il fatto che ancora oggi si torni a parlare della cosiddetta Bolkestein, in Italia come in altri Paesi dell’Unione europea, a causa di questioni irrisolte, potrebbe suggerire la necessità di una rivisitazione, apportando correttivi, della direttiva servizi. L’importante quadro normativo che la direttiva propone, a tutt’oggi, in molti settori, non trova applicazione dal momento che ciò implicherebbe l’intrapresa di azioni politiche forti che vanno a discapito di molti operatori locali.
Probabilmente è solo attraverso alcune modifiche che la direttiva potrà espletare le sue funzioni innovative, cosa che fino a ora non è accaduta. La Commissione è più volte intervenuta a difesa della direttiva, ribadendo l’inopportunità di cambiare il testo della disciplina, ma, forse, prendendo atto del risollevarsi delle contestazioni, potrebbe verificarsi un’inversione di marcia verso l’unica strada che pare percorribile, quella della modifica del testo, dato che dopo ventiquattro anni la normativa in questione non trova piena applicazione.
Applicabilità della direttiva 2006123CE del PE e del Consiglio al commercio di beni