Definizione, formazione e professionalità di un lavoro necessario a salvaguardare e a promuovere l’impronta culturale europea. Lavoro che coinvolge 7 milioni di europei
Quest’interessante studio di Simone Pastor per il gruppo Identità e Democrazia (ID), nasce con l’obiettivo di riflettere sulle condizioni, le prospettive, le potenzialità e l’importanza dei cosiddetti “lavoratori della cultura”.
Le politiche europee da ormai 50 anni dimostrano un sempre maggiore interesse verso il patrimonio, considerato un elemento fondante l’identità dei popoli europei, un mosaico ricco e diversificato di espressioni culturali e creative, eredità delle generazioni di europei. Un concetto ampio, quello di patrimonio che include l’ambiente naturale così come quello culturale; comprende paesaggi, luoghi storici, siti e ambienti costruiti dall’uomo, così come le pratiche culturali del passato, le esperienze di vita e la conoscenza. Esso registra ed esprime i lunghi processi storici di sviluppo, che formano l’essenza delle diverse identità nazionali, regionali, indigene e locali ed è parte integrante della vita di ciascuna nazione europea nonché principio fondante del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea che nell’articolo 167 identifica nel “miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei” il “fondamento dello sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali”.
Le recenti statistiche di Eurostat dimostrano come i popoli europei considerino il patrimonio una condizione importante per la costruzione della loro identità e, la fruizione dello stesso, parte integrante della vita associativa della maggior parte degli europei.
Ma l’analisi delle professioni culturali dimostra come sebbene il patrimonio sia considerato fondamentale per il futuro identitario d’Europa e benché i popoli europei siano pronti a recepire, a vivere, a conoscere questo patrimonio, le politiche che dovrebbero tutelare coloro che sono l’elemento chiave di queste azioni, ovvero i professionisti, curatori, conservatori, valorizzatori, e mediatori del patrimonio verso il pubblico non sono affatto tutelati ma relegati all’interno di una, non meglio definita, categoria di “lavoratori della cultura”, che racchiude più di sette milioni di lavoratori europei. Categoria professionale la cui ampiezza è essa stessa il vulnus principale per la crescita e la consapevolezza di questi professionisti.
Stante l’attuale classificazione, lo studio “I professionisti europei del Patrimonio culturale: definizione, formazione e professionalità di un lavoro necessario a salvaguardare e promuovere l’impronta culturale europea” propone una ridefinizione delle tassonomie classificatorie di questo ampio mondo professionale suddividendo questa fattispecie in due sottoclassi: la prima, oggetto dello studio, a cui afferiscono le professioni che hanno come scopo quello di “conservare e trasmettere un patrimonio; investire nella riqualificazione di qualità orientata al patrimonio; promuovere una conoscenza e una comprensione più approfondite del patrimonio e una maggiore mobilitazione a favore del patrimonio culturale”. La seconda, più legata al contemporaneo, caratterizzata da quell’insieme di attività e professioni culturali e creative rivolte a formare, creare, innovare nuove espressioni della cultura e dell’arte.
Si tratta di una divisione semplice tra professioni connesse al patrimonio in cui nella prima sono compresi i promotori, i divulgatori, coloro che tutelano, valorizzano e gestiscono il patrimonio esistente il cui obiettivo è la democratizzazione dello stesso attraverso forme nuove e partecipate di fruizione. Questa prima divisione è fondamentale per far comprendere come sia importante la creazione di una categoria di professionisti europei del patrimonio grazie alla quale si potrà elevare l’obiettivo della tutela alla valorizzazione, all’allargamento del pubblico, sino a fare del patrimonio e dei luoghi del patrimonio (musei, archivi, biblioteche, parchi naturali, parchi archeologici, open air museums, eccetera) infrastrutture aperte a tutti e non solo a una élite.
Con il presente studio si propone quindi un nuovo modello che inizia dalla formazione fino alla professionalizzazione e all’accesso al mondo del lavoro di questa nuova categoria. Appare infatti necessario come i professionisti del patrimonio, per ottemperare all’importante ruolo che rivestono, debbano essere altamente qualificati e preparati, colti e informati, come minimo laureati, in grado di costruire una programmazione culturale capace di stimolare e influenzare l’interesse dei cittadini, non semplicemente destinata a massimizzare i ricavi, e di realizzarla con strumenti disponibili più efficaci e moderni; debbano essere professionisti tutelati e valorizzati, non salariati atipici, né “dipendenti” di cooperative o società multiservizi. Per ottenere questo le politiche europee e quelle dei singoli paesi devono cambiare. Per prima cosa si dovrà riconoscere questa categoria inserendola all’interno delle classificazioni Esco, da lì andrà aggiornato il Manuale europeo delle Professioni museali fermo al 2008, che dovrà necessariamente comprendere questa categoria professionale. Ovviamente perché questa categoria sia sempre più riconosciuta anche in futuro si dovranno definire politiche di formazione universitaria e post universitaria definendo i livelli minimi con i profili e le abilità, in modo che la formazione dei giovani professionisti trovi corrispondenza nei criteri per il reclutamento sia in ambito statale che in ambito territoriale. Pertanto andranno individuate nuove possibilità di accesso al lavoro tramite concorsi ad hoc (sull’esempio dei corsi-concorsi sul modello dell’Institut du Patrimoine francese) per ciascuna competenza. Attraverso uno screening delle risorse professionali necessarie ai singoli istituti nazionali. Andranno inoltre potenziati i percorsi di formazione continua indirizzati ai lavoratori già inseriti in organizzazioni private e pubbliche amministrazioni.