Un importante panel di esperti ha dibattuto dei problemi dell’ampia regione africana, applicando un approccio olistico. L’impatto del cambiamento climatico investe a cascata tutte le questioni che interessano anche l’Unione Europea, come la sicurezza dal terrorismo e dai conflitti, le tratte criminali, l’approvvigionamento delle risorse, la sanità, l’alimentazione
“Contrariamente al comune sentire, lo slancio non è dalla parte dei nemici della democrazia. In molti casi, gli autoritarismi dei nostri giorni non riescono a garantire benessere ai loro cittadini. Pertanto, la democrazia non è una causa che si sta estinguendo; in realtà, è pronta per un grande ritorno” (https://www.usaid.gov/news-information/speeches/jun-7-2022-administrator-power-remarks-global-revolution-dignity). È una citazione di Madeleine Albright con la quale l’europarlamentare Anna Bonfrisco, Gruppo Identità e Democrazia, ha concluso il dibattito “Le dinamiche geostrategiche del Nord Africa e del Sahel: la strategia dell’Europa”. L’europarlamentare Bonfrisco tiene il dibattito sull’Africa nel giorno in cui la Francia dichiara la fine ufficiale dell’operazione anti-jihadista Barkhane in Sahel e la nuova strategia di difesa e di sicurezza nazionale (https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2022/11/09/a-toulon-le-president-de-la-republique-presente-la-revue-nationale-strategique e https://www.defense.gouv.fr/actualites/nouvelle-revue-nationale-strategique-ce-quil-faut-retenir-du-discours-demmanuel-macron).
Un panel di relatori di alto livello affronta la complessità della regione, la sua diversità, il suo potere e la sua influenza, per definire una strategia europea al problema. «Insieme alle nazioni e ai popoli africani continuiamo ad affrontare la situazione di insicurezza del continente africano che è invece all’opposto di quella stabilità, sviluppo e benessere che vorremmo aiutare a realizzare e che è alla base dei nostri impegni di cooperazione», ha detto Bonfrisco introducendo i relatori. «Per questo le diplomazie europee e transatlantiche svolgono un lavoro incessante per porre fine ai conflitti, garantire gli aiuti umanitari, promuovere i diritti umani, contrastare il terrorismo radicale violento e costruire insieme programmi culturali e scientifici a beneficio delle popolazioni africane e dell’Unione Africana».
Bonfrisco ha poi tenuto a ricordare che oltre a migrazione incontrollata, terrorismo e instabilità, «dobbiamo considerare una crisi umana ancor più grande, più tragica e crudele. La crisi alimentare attuale in Africa potrebbe far morire più persone di quelle colpite dalla pandemia. L’insicurezza alimentare e la fame nel mondo hanno numeri scioccanti: Afghanistan 20 milioni, Yemen 19 milioni, Sahel 18 milioni, Corno d’Africa 37 milioni». (https://news.un.org/en/story/2022/05/1118702)
Stiamo solo intravedendo i segni precursori del disastro che sta per avvenire. La “tempesta perfetta” l’ha definita il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres (https://www.eeas.europa.eu/eeas/un-general-assembly-facing-perfect-storm_en e https://unric.org/it/secretary-general-remarks-at-the-opening-of-the-general-debate-of-the-77th-session-of-the-un-general-assembly-20-september-2022/).
Il dibattito trae origine da uno studio condotto da giovani analisti dell’Associazione italiana Mondo internazionale APS e MInter Group (The Geostrategic dynamics of North Africa and the Sahel – The Strategy of Europe by MInter Group Srl), che hanno inteso analizzare con approccio olistico la vasta regione e presentare i suggerimenti e le raccomandazioni per la futura azione dell’UE. Un aspetto centrale dell’analisi si riferisce proprio alla crisi alimentare e all’instabilità dell’area che trae origine dall’impatto del cambiamento climatico e da diversi fattori interdipendenti che necessitano approfondimenti mirati, come ha sottolineato Michele Pavan, presidente di MInter Group.
Matteo Frigoli, analista di sicurezza e difesa dello stesso gruppo, ha analizzato i territori del Nord Africa, spesso non governati, e i confini “porosi” dell’area in cui operano più facilmente organizzazioni terroristiche di tipo transnazionale che hanno larga disponibilità di armi e che vengono, però, combattute con misure di tipo nazionale o scollegate tra loro, quindi inadeguate. Questi stati sono di origine e di transito del traffico di esseri umani a causa della povertà e dell’assenza di un welfare adeguato. Tutti questi Stati sono ingaggiati in operazioni militari di contro-insorgenza o di controterrorismo. Una possibile concreta strategia dell’Unione europea dovrebbe essere proprio la difesa delle istituzioni con strumenti di assistenza e supporto, ma anche la garanzia di strumenti di sopravvivenza e adeguamento del welfare per le fasce più deboli, costituite in particolare da giovani, sono facilmente preda delle organizzazioni terroristiche.
Kaitlyn Elizabeth Rabe, analista di politica ed economia, si è soffermata sugli aspetti economici, ambientali e alimentari del Nord Africa menzionando le sfide del post pandemia. I tassi di disoccupazione sono molto alti soprattutto in Libia, è stato rilevato che questo porta a una forte instabilità politica. Dal 2000 si registra una crescita del settore dei servizi, che in caso di crisi rischia di creare maggiore precarietà, quindi anche traffici illeciti. Gli investimenti esteri si sono ridotti in Egitto e Tunisia per via dell’alto numero di immigrati da altri Paesi, ed esistono maggiori fattori di instabilità nei Paesi più dipendenti dal petrolio per la riduzione della domanda a partire dal 2020. Le risorse idriche sono drasticamente calate a causa del cambiamento climatico e della cattiva gestione. Le siccità si sono alternate alle alluvioni soprattutto nelle aree costiere. La carenza di acqua ha causato notevoli problemi per la sussistenza soprattutto per le popolazioni che vivono e lavorano in aree rurali e che sono quindi spinte a entrare in un circolo vizioso di calo della produzione stessa. Uno degli aspetti positivi è la capacità di produrre energia dal sole o dal moto ondoso del mare. L’Algeria, per esempio, potrebbe diventare fornitore di energia elettrica per l’Europa utilizzando semplicemente l’energia solare seppure non possa essere “immagazzinata”. Sulla base di queste considerazioni, ha avanzato due proposte per le relazioni con l’Unione che è principale partner dei Paesi del Nord Africa analizzati: concentrarsi maggiormente su una cooperazione multilaterale e regionale per le questioni transfrontaliere come le alluvioni che costituiscono un problema per altri Paesi del bacino meridionale del Mediterraneo, appartenenti alla UE, e anche per le questioni che riguardano le migrazioni e il traffico dei beni illeciti; la diplomazia culturale e la formazione possono aiutare molto perché il distacco dalla società e la disinformazione possono portare alla radicalizzazione e alimentare l’instabilità socio-politica.
Saverio Lesti, analista di sicurezza e difesa, ha spostato l’attenzione sul Sahel, soffermandosi sulla presenza di gruppi mercenari, jihadisti e anche di criminalità organizzata, tutti fattori interdipendenti con la povertà, il cambiamento climatico e le scarse risorse economiche che rappresentano una minaccia per l’UE, considerando anche la crescente competizione tra potenze globali come la Russia (ne sono testimonianza i colpi di Stato in Mali e Burkina Faso). La Russia esercita una penetrazione socioeconomica per il controllo delle materie prime energetiche, come sbocco per le proprie risorse (soprattutto fertilizzanti e tecnologia militare per le telecomunicazioni), come ricerca di sostegno diplomatico in seno ONU e altre organizzazioni internazionali. La presenza militare russa avviene soprattutto attraverso il gruppo privato Wagner.
L’area più critica è quella delle cosiddette “tre frontiere”, tra Mali, Ciad e Burkina Faso, dove si concentra la maggior parte dell’attività militare e paramilitare. È presente anche la pirateria al largo delle coste della Nigeria e qui dovrebbe essere aumentata una presenza militare UE. Quest’area di passaggio verso il Nord Africa e le frontiere europee vede crescere i traffici di esseri umani, di armi e di droga. Circa il 78% della popolazione è impiegata nell’agricoltura e rilevante è anche l’aliquota impegnata nella collegata distribuzione alimentare. Questa zona dell’Africa possiede risorse energetiche e minerarie, soprattutto Niger, Nigeria e Algeria in Nord Africa. Importante l’impatto del covid nella regione subsahariana, stimato in 200 miliardi di dollari di contrazione economica. Le città dovrebbero essere riformate nei loro processi di sviluppo, la rete elettrica locale è praticamente inesistente. Per l’UE è importante massimizzare le attività già in corso e prevedere un loro utilizzo a livello globale per fare massa critica non più soltanto nei singoli Stati. Serve attivare strumenti di diplomazia culturale per creare una classe dirigente che non veda più l’Europa come potenza coloniale, ma partner affidabile. A livello militare occorre rivedere la presenza europea anche a seguito del riassetto della strategia francese nella regione.
Andrea Marco Silvestri, analista in ambito antropologico, ha concluso le relazioni trattando le sfide del sistema socio-politico e del cambiamento climatico in un’ottica di visione olistica o integrata da numerosi fattori di una regione così ampia e complessa. Le questioni etniche e religiose sono correlata alle disuguaglianze sociali, l’aumento della fede cristiana del 57% nell’ultimo secolo ha portato a un inasprimento delle violenze e delle discriminazioni. Il lago Ciad è l’emblema della desertificazione e della scarsità idrica: dal 1963 al 2007 ha ridotto il bacino del 60-70% in alcune stagioni. Il problema della Food security è strutturato su 4 pilastri: l’accesso al cibo, la sua disponibilità, l’utilizzo, la stabilità delle fonti di cibo sicuro e costantemente affidabile. Occorre intervenire sul lago Ciad, sulla Green wall initiative e sull’empowerment della ownership: i dati devono essere costantemente aggiornati e raccolti anche attraverso mediazione locale con targhettizzazione precisa nelle aree d’intervento.
«Il cambiamento climatico è la più grande sfida per l’umanità e si manifesta sotto diversi fenomeni, si innesta in Stati fragili, dove diverse comunità iniziano a competere per le risorse naturali e dove sono presenti forze di insurrezione, come nel Sahel o in Somalia, peggiorando la sicurezza delle popolazioni», ha commentato Bonfrisco. «Ma questo è il secolo della trasformazione digitale, che ci consente forse di azzerare alcuni ritardi e poter allineare attraverso il lavoro della scienza, la tempistica delle nostre evoluzioni per non vedere più quello scarto tra Unione Europea e Africa. Allora la diplomazia scientifica ci deve far capire che l’Africa avrà un valore. Ma anche per l’Africa, l’accesso allo spazio è abilitante. La costellazione di satelliti statunitensi per una connessione Internet affidabile e veloce è stata approvata in Mozambico e Nigeria. Anche i satelliti europei di osservazione della terra Copernicus monitorano gli ecosistemi nel Sahel, nell’Africa del Nord e nel Corno d’Africa. L’Italia sta aiutando a costruire alcune di queste capacità in Kenya, Niger ed Etiopia a beneficio di tutta l’Unione Africana».
È intervenuto a questo punto il professor Antonello Provenzale, direttore dell’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle Ricerche (CNR), parlando dei problemi del ciclo dell’acqua (Water_EU). Questi nascono in parte dall’aumento della concentrazione di gas serra a causa delle emissioni antropiche, che ha portato negli ultimi 100 anni a un aumento della temperatura di circa 1,4 °C sulle aree continentali e a cambiamenti nella distribuzione delle precipitazioni. Le temperature più alte inducono inoltre maggiore evapotraspirazione e più energia nell’atmosfera, con eventi di precipitazione più intensi e concentrati nel tempo e periodi siccitosi più prolungati ed estesi. Il bacino del Mediterraneo con la zona dell’Africa subsahariana, insieme con l’ovest del Nord America, sono particolarmente toccati dalla diminuzione delle precipitazioni. Questo comporta una più alta probabilità di siccità, con impatto su Food security, igiene, salute e accesso a risorse, di cui in particolare risentono donne e bambini. È inoltre un fattore ambientale di complicazione geopolitica. Le sfide da affrontare sono: definire la gestione dell’acqua in condizioni di scarsità delle risorse e soprattutto in condizioni di variabilità interannuale molto forte; sviluppare strategie per la riduzione del rischio per eventi alluvionali, di siccità e incendio; studiare le conseguenze sociali, ambientali e geopolitiche causate dagli stress indotti dal cambiamento climatico e dagli spostamenti umani. Ha citato un progetto dell’Accademia delle scienze polacca, insieme con diverse università del Marocco sull’utilizzo dei satelliti Sentinel per definire le migliori strategie di irrigazione. La Fondazione di ricerca CIMA, con la quale Provenzale collabora, ha realizzato una serie di studi sulla stima dei rischi in molti Paesi africani, proprio per i danni provocati dagli eventi legati ai cambiamenti ambientali. Il progetto polacco-norvegese Arica studia gli effetti ambientali associati alla presenza dei campi di rifugiati e agli spostamenti della popolazione, ed è stato ora esteso nel progetto europeo EOTIST cui partecipa anche il CNR. Sostanzialmente è necessario mettere in campo misure con pianificazione partecipata, usare i satelliti Sentinel, sviluppare modelli per stimare le condizioni future e l’effetto di alcune specifiche strategie di gestione e adattamento. L’educazione resta elemento fondamentale: la stessa Fondazione CIMA, il CNR e il ministero degli Esteri stanno valutando la fattibilità per un museo delle scienze in Etiopia.
Il dibattito ha poi scandagliato le questioni dell’operatività, anche militare. «In questo contesto la cooperazione militare italiane ed europea ha assunto nel tempo un ruolo importantissimo», ha commentato Bonfrisco, che è componente della Sottocommissione Sicurezza e Difesa del Parlamento Europeo. «Il Comitato militare europeo riveste un ruolo sempre più prominente di fronte alle minacce ibride e alle tattiche asimmetriche che caratterizzano i diversi conflitti di questo secolo. Direi che il mondo ha compreso il ruolo e le potenzialità dell’Unione Europea e anche dall’Africa arriva la richiesta di una conferma che l’Unione sia all’altezza, quale attore globale. Siamo davvero in un momento singolare della storia del mondo. Ma noi europei siamo resilienti, siamo risoluti nel costruire la pace e lo sviluppo, abbiamo ormai nel nostro DNA l’espressione comportamentale circa la necessità di investire nella costruzione di stabilità di più lungo termine e di prevenire le crisi».
Il rappresentante militare italiano al Comitato militare dell’Unione Europea, ammiraglio Dario Giacomin, ha ricordato che il 2019 è stato l’anno che ha fatto registrare il maggior numero di conflitti in Africa dal 1947. Numeri drammatici, perché dalla sicurezza e dalla pace in Africa dipendono quelle europee: il futuro e il benessere dei due continenti sono legati a come i due continenti riusciranno a crescere insieme. Entrambi i continenti non possono che guadagnarci, in welfare, in diritti umani, in libertà di accesso ai global commons. I flussi migratori sono sintomatici di tanti problemi che devono essere affrontati alla radice con una strategia integrata. L’Unione Europea ha in corso diverse missioni come l’Atalanta nell’oceano Indiano, quella nel golfo di Guinea (che dovrà essere rinforzata) e quella nel canale del Mozambico. Poi training missions in Somalia, Mali, Repubblica centrafricana. Attualmente queste missioni sono in difficoltà perché la situazione geopolitica è cambiata. Adesso devono lavorare meglio insieme le missioni terrestri con quelle marittime. La struttura di comando e controllo militare deve evolvere e le missioni acquisire flessibilità. Lo Strategic compass dell’UE, approvato il 21 marzo 2022, richiede maggiore incisività e prescrive che si debba accompagnare e supportare le forze di sicurezza e difesa fornendo addestramento e advise e anche favorendo riforme istituzionali e strutturali. È intenzione dell’UE avviare operazioni sui singoli Paesi, cominciando dal Niger che ha un governo capace di reggersi da solo e ha dimostrato di dare affidamento. In Mali la parte addestramento della missione europea è stata fermata perché il Paese ha deciso di ascoltare i consulenti russi. Adesso la missione si è ridotta a un quarto, circa 289 uomini, non è stata chiusa perché probabilmente le autorità presto si ravvedranno. In Burkina Faso è difficile pensare anche solo a una missione.
«Il dibattito odierno non sarebbe né adeguato né completo senza considerare il contributo dato dall’Alleanza Atlantica, i cui Stati condividono una visione di “un mondo in cui la sovranità, l’integrità territoriale, i diritti umani e il diritto internazionale siano rispettati e dove ogni paese possa scegliere la propria strada», ha quindi aggiunto Bonfrisco. «La NATO in Africa si muove sorretta dai valori di libertà individuale, diritti umani, democrazia e stato di diritto. Ci sono diverse partnership della NATO nei quadranti che stiamo discutendo, tutti ricompresi all’interno di due più grandi quadri strategici di riferimento: il primo lo definirei il divenire dell’Africa, il farsi dell’Africa e il secondo “l’ordine internazionale aperto basato sulle regole”».
Giovanni Romani, a capo della sezione Medio Oriente, Nord Africa e Sahel della NATO, ha spiegato che attualmente la NATO ha partnership in Egitto, Algeria, Tunisia, Marocco e Mauritania. Non c’è però una presenza permanente e questo può dare l’idea di una NATO meno impegnata sul continente africano. Adesso la dimensione Sud è più rilevante per questioni che riguardano la sicurezza e lo sviluppo. Sono forti i problemi climatici e demografici. La NATO è preoccupata per le questioni che riguardano il terrorismo nel Sahel. NATO e Unione Europea sono alleanze di valori, in questa zona c’è una fortissima competizione geostrategica: la Russia, la Cina e anche altri Paesi stanno infiltrandosi. La Russia sta sfruttando un’opportunità, la Cina ha un progetto di lungo termine. C’è necessità assoluta di un coordinamento e ci sono già organismi che lo possono fare. Ogni volta che la NATO interviene, prima c’è un’analisi molto approfondita, qui si innesta la battaglia con la narrativa antieuropea: ci sono messaggi che fanno presa, il mondo occidentale è accusato di avere un doppio standard per fronteggiare le crisi, come in Ucraina, ed è ancora accusato di mantenere un atteggiamento da guerra fredda.
Lorenzo Pinelli, consigliere per le questioni africane e delegato al Gruppo Africa della Rappresentanza italiana presso l’UE, ha ricordato che l’Italia gioca un ruolo di stimolo all’interno dell’Unione Europa per stabilizzare la regione. L’Italia ha contribuito alla nascita della Coalizione Sahel nel 2020 e un diplomatico italiano vi lavora stabilmente, ha partecipato alla missione Takuba, attribuito maggiori fondi. Ma l’UE in questo momento è in difficoltà nel Sahel perché là si trova a confrontarsi con militari golpisti che hanno interrotto l’ordine costituzionale, alcuni di questi governi si sono rivolti alla Russia che in questo momento è un nemico, un competitore strategico dell’Unione Europea e dell’Italia. L’Europa e l’Italia hanno ridotto la presenza, ma è essenziale mantenere un canale di dialogo perché l’Occidente è capace di offrire un approccio integrato, un pacchetto di strumenti, che la Russia non può invece offrire. È importante andare in Niger per l’Italia visto che nel Sahel questo Paese è già partner fondamentale.
È infine intervenuto anche Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente del Parlamento Europeo e relatore per il Corno d’Africa. Che ha rimarcato l’importanza di una riflessione di più ampio respiro sull’Africa, continente legato a doppio filo con la stabilità e prosperità dell’Europa. L’asse Nord-Sud, anche in questi tempi di guerra in Ucraina, rimane fondamentale, ma ha natura mutevole, sfuggente e difficilmente prevedibile per le potenziali crisi: basti pensare all’aumento esponenziale demografico in questi Paesi, uno su tutti l’Egitto. La regione ha valore strategico enorme e potenziale inespresso, in cui si susseguono conflitti di tutti i tipi e perdurano crisi. È necessario superare gli approcci tradizionali e adottare una visione più olistica: serve un pacchetto di misure e di azioni che puntino allo sviluppo, per creare infrastrutture indispensabili, condivisione di know-how e best practices, per esempio per creare indipendenza dal punto di vista alimentare, per formare istituzioni e governances più solide, superando la mentalità tra donatore e beneficiario, responsabilizzando con partenariati paritari. Il motto dell’Unione africana è “soluzioni africane a problemi africani”, forse anche l’Europa dovrebbe tenerlo maggiormente in considerazione.
L’intero lavoro è stato dedicato alla memoria dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci che hanno perso la loro vita servendo l’Italia per aiutare l’Africa.
LINK AL VIDEO DEL DIBATTITO
https://youtu.be/AdLRER2HFBU
https://www.europarl.europa.eu/streaming/?event=20221109-1630-SPECIAL-OTHER